venerdì 17 luglio 2015

"Talento e sacrificio, questa è la moda": le parole di Toni Scervino allo Ied

L'open day dell'Istituto europeo di design: c'era anche l'amministratore unico della maison fiorentina



di Eva Desiderio
Firenze, 16 luglio 2015 - Sembra una cosa scontata ma non lo è proprio sottolineare il fatto che nella moda c'è bisogno oltre che del genio e della creatività anche di molta disciplina e spirito di sacrificio. Fuori dalla retorica e dall'enfasi dello stilista eccelso ma solo sognatore o di un sistema fatto più di fantasia che di regole. A rimettere l'orologio dello stile con le lancette a posto ci ha pensato stamani Toni Scervino, amministratore unico della maison Ermanno Scervino. "Nella moda serve talento ma tanto sacrificio”, ha detto Scervino partecipando all’Open Day dell’Istituto Europeo di Design di Firenze, presso la sede di via Bufalini, sul tema “Professioni del futuro tra moda e design” davanti a una sala gremita di studenti e operatori del settore. “Quello che serve nel mondo della moda è un po’ di talento, ma solo un poco – ha spiegato Toni Scervino agli studenti - e tantissimo sacrificio, sforzo, ostinazione”.
“Il talento conta – ha detto l’imprenditore della famosa casa di moda che ha sede a Firenze - ma sono molto più importanti la tenacia e la voglia di farcela. La prima regola è l’abnegazione, che va praticata a tempo pieno. In ogni momento bisogna essere ricettivi agli stimoli e praticare una vita quasi ascetica: la moda è divertente, ma quello dello stilista è un lavoro faticosissimo. Bisogna allenare la mano al disegno, conoscere i materiali e stare sempre a fianco degli artigiani, perché ci sono segreti che si apprendono solamente dopo anni”.
E poi bisogna tornare a valorizzare il lavoro manuale e l'esperienza, creando una catena di valori fra le generazioni per tramandare tecniche di lavorazioni che altrimenti andrebbero perdute. Conoscenza del prodotto e competenza, sguardo aperto sul molto ma difesa della manualità del territorio, artigianalità che incontra la tecnologia più avanzata, con una ricerca a tutto tondo, questa la ricetta del successo della maison che ha il suo headquarter nel comune di Bagno a Ripoli e ora sta puntando al mercato americano con l'apertura di una boutique a Miami e cinese con lo sbarco a Shangai.
“Oggi le esigenze del pubblico – ha detto Scervino - sono maggiori rispetto a qualche anno fa, c’è una presenza più forte di prodotti sul mercato, quindi se si vuole creare un oggetto interessante bisogna curarlo in moltissimi aspetti. Venti o trenta anni era sufficiente un disegno per ottenere un capo di vestiario o un accessorio, oggi c’è l’esigenza di un team di persone che lavorino in sinergia”. Poi rispondendo a una domanda sul rapporto tra retail e e-commerce, Scervino ha aggiunto: “Una cosa non penalizza l’altra: esiste il momento in cui il cliente non sa esattamente cosa vuole, desidera scegliere un oggetto e quindi va in negozio, e il momento in cui non ha tempo e sa esattamente quello che vuole, quindi decide di comprare online. L’e-commerce non può sostituire completamente lo store, il negozio fornisce l’immagine, l’identità di un brand, è una vetrina che aiuta la vendita online. Uno spazio in una via centrale di una città importante suscita il desiderio di un acquisto, anche non immediato”. All'incontro allo Ied ha partecipato anche l’ideatrice di Vogue Talents Sara Maino, caporedattore di "Vogue Italia".
“Negli anni la qualità dei designer si è abbassata. Internet e i social media hanno fatto perdere molto il senso della realtà ai giovani. Bisogna fare un passo indietro, staccarsi da Instagram e tornare sui libri - ha detto Sara Maino - riappropriarsi dell’artigianato, della manodopera. Bisogna essere curiosi, apprendere i metodi tradizionali e allontanarsi da tutto ciò che è volatile e irreale”. "Ermanno Scervino - ha detto Alessandro Colombo, direttore dell’Istituto Europeo di Design intervenendo all’incontro - è un azienda toscana che porta nel mondo il valore dell'artigianalità e del territorio. Prima di entrare nella conferenzaToni Scervino mi ha chiesto se poteva dire che lavorare nella moda è duro e faticoso e ci vuole molta tenacia, ho chiaramente risposto di si, è inutile nascondere ai futuri designer che per avere successo ed avere soddisfazioni da l proprio lavoro sarà necessario lavorare con caparbietà e massima dedizione

sabato 4 luglio 2015

Il TARTAN prende origine dalla CINA. Il kilt nasce in Oriente

Eccezionali scoperte degli archeologi in Cina.



sabato 22 novembre 2014

Sfilata di moda


VETRINA DI NATALE IN VILLA

Sabato 13 Dicembre 2014
Orario apertura: Ore 10.00
Orario chiusura: ore 24.00

 Ore 10-24 Mercatino tematico natalizio
Ore 15.30 Intrattenimento con i bambini con la Compagnia Begherè
Ore 16.30 Merenda e cioccolata calda
Ore 17.00 Presentazione del libro “Ma il calabrone non lo sa” con Margherita Guerri e Valerio Cioni
Ore 18.00 Presentazione libro  “Tenebra” con David Pratelli
Ore 19.30 Pesca di beneficenza con l’Associazione
 “Il Germoglio Onlus” di Viareggio
Ore 19.30-21.00 Apericena e degustazioni

Ore 21.30 Sfilata di moda di Raffaela Maria Sateriale


lunedì 16 settembre 2013

Ermanno Scervino “Strategie di crescita senza compromessi”


IL SUCCESSO DELLA NUOVA BOUTIQUE NEL CENTRO DI ROMA PREMIA LE SCELTE DI STILE DEL MARCHIO FIORENTINO, SEMPRE PIÙ AMATO DALLA CLIENTELA STRANIERA E DALLA STELLE DEL CINEMA MONDIALE “MA NON RINUNCIAMO ALLA NOSTRA QUALITÀ”

Enrico Maria Albamonte
Milano I l revival della dolce vita romana ha galvanizzato lo shopping nella capitale nonostante l’asfittico clima di ristagno dei consumi di lusso interni allo stivale. D’altronde oggi il made in Italy sopravvive grazie al massiccio afflusso nel bel paese di turisti dal pingue portafoglio, soprattutto russi e asiatici. Ne è convinto Toni Scervino, ammini-stratore delegato della maison Ermanno Scervino che, a soli due mesi dall’inaugurazione della sua boutique capitolina da 350 metri quadri di superficie, una sorta di vasta “galleria d’arte” dal design postmoderno battezzata dalla performance canora di Asia Argento e Morgan, sta registrando il tutto esaurito. «Dalla nuova boutique di via del Babuino piovono senza tregua richieste di riassortimento dei nostri capi e accessori; e si tratta quasi sempre di clienti disposti a spendere cifre ingenti acquistando interi guardaroba ». Siamo nell’ordine di un minimo di spesa pari a settemila euro. Intanto si sfrega le mani Angelo Sermoneta, guru del retail di alta gamma nella città eterna, che ha consentito allo stilista, grazie a un accordo di franchising, di aprire lo spazio prima occupato dal negozio multimarca “Eleonora”. «E pensare che ci era parso un azzardo aprire un nostro flagship store a due passi da Piazza di Spagna, vetrina romana di tutto il gotha dell’alta moda internazionale; ma ora quella sfida si è rivelata un ottimo investimento». Anche perché il 72 per cento del giro d’affari
dell’azienda fiorentina, pari nel 2012 complessivamente a 93 milioni di euro — con una prospettiva di un moderato incremento per il 2013 — proviene dalla clientela estera: «Ermanno Scervino è sinonimo di uno stile internazionale e sofisticato per donne dalla doppia anima, sobrie ma anche eclatanti, sempre comunque seducenti». Non per niente oltre a far da madrina al taglio del nastro della boutique romana, Asia Argento è anche la trasgressiva protagonista noir della nuova campagna pubblicitaria della griffe firmata dal fotografo Francesco Carrozzini, ormai di casa a New York. «In America stiamo intensificando i contatti per scegliere due location importanti, una a New York e l’altra a Miami, in cui aprire nuove boutique; e anche se non corteggiamo assiduamente le star di Hollywood sui red carpet di mezzo mondo, capita che Sandra Bullock scelga a nostra insaputa un tubino molto sexy di pelle nera intarsiata di pizzo macramè per una serata di gala», osserva Toni Scervino. Del resto la sua maison ha vestito anche Cher sul set del film di Zeffirelli “Un thé con Mussolini”. Il suo sodalizio con Ermanno Scervino, iniziato 25 anni fa quando Toni era uno studente di medicina, ha dato buoni frutti: circa 40 monomarca nelle piazze più prestigiose per il fashion business, una presenza capillare in tutto il mondo dalla vecchia Europa (dove ora funziona bene il nuovo monomarca di Cannes appena aperto) fino alla Russia e al Far East, Giappone in testa. Qui Scervino è apprezzato dalle donne che, archiviata la geisha, manifestano un gusto maturo ed evoluto, «tipico di chi sa scegliere capi in cui la fattura Made in Florence fa la differenza». Dopo aver inaugurato già cinque boutique nel Sol Levante, grazie alla nuova intesa con il distributore Itochu, la società prevede l’apertura di altri 7 punti vendita nei prossimi 3 anni. E accanto al Giappone non manca la Cina: «Puntiamo ad aprire due grandi monomarca diretti a Pechino e a Shanghai nel 2014, e in seguito anche altri punti vendita, ma in franchising; non abbiamo fretta di crescere ancora perché la nostra priorità resta la raffinatezza senza compromessi dell’artigianato italiano». Nella foto Toni Scervino, a.d. di Ermanno Scervino
(16 settembre 2013)


tratto da 

venerdì 13 settembre 2013

I pojagi, foulard per fagotti


Una delle cose che colpivano ancora negli anni 1960 in Corea era il grande impiego di fazzolettoni di stoffa usati per avvolgere le cose, legandone i capi contrapposti per farne un fagotto facilmente trasportabile. Quest'usanza era molto diffusa anche in Italia prima dell'invenzione delle borse di plastica ed era molto più simpatica e pratica delle attuali borse del supermercato. Di questi fazzolettoni, chiamati pojagi (보자기 pronunciato in italiano pogiaghì), ancor oggi usati dai più tradizionalisti dei coreani si occupa il dotto articolo che presentiamo qui sotto.

Nota: Cliccando su un carattere cinese studiato nelle scuole medie ne viene visualizzata la scheda.


F

ino a non molto tempo fa, i coreani fin da piccoli potevano apprezzare il lavoro delle proprie sorelle che ricamavano, facendo innumerevoli punti l'uno dopo l'altro, ognuno dei quali con assoluta attenzione. Osservavano la propria madre che girava la ruota di una macchina da cucire obsoleta nel preparare i vestiti per tutta la famiglia. Vedevano così pantaloni e giacchette prender forma ogni volta che le pesanti forbici di ferro venivano usate per tagliare. Con orgoglio stavano a osservare le mani delle donne di casa che usavano in modo esperto ago e filo.
Pojagi con il disegno di un melograno
Quando la pila di ricami della sorella cominciava a traboccare, era giunto il momento di combinare il suo matrimonio, il che rendeva le madri più indaffarate che mai. Le giacchette verdi e le gonne rosse, indossate tradizionalmente dalle nuove spose, assieme alle calze imbottite e alle coperture delle trapunte, che oggi si trovano già confezionate nei negozi, venivano prodotte dalle donne di casa. Esse creavano anche i pojagi, quei quadrati di stoffa colorata di varie dimensioni e colori usati per avvolgere le cose per il matrimonio. Era particolarmente affascinante osservare come il pojagi prendesse forma da scarti e avanzi di stoffa, un processo che aveva qualcosa della creazione di un'opera d'arte.
Oggi i pojagi non vengono quasi più usati e un museo è praticamente l'unico luogo in cui si possano osservare, ma questi oggetti erano un tempo praticamente indispensabili nella vita di ogni giorno in Corea. Tutti i coreani, indipendentemente dal loro grado sociale, li adoperavano spesso per una varietà di usi. A parte il loro uso pratico, oggigiorno questi fazzolettoni sono tornati di moda, quasi come oggetti d'arte, e sono molto considerati come opere di artigianato popolare da parte degli stranieri.
Kim Hyeon-hui ha dato al pojagi coreano tradizionale
un aspetto più giovane e un'attrattiva più moderna
pojagi sono pezzi di stoffa quasi sempre quadrati usati per avvolgere, coprire o decorare oggetti. Nei documenti del periodo Chosŏn (1392-1910) questi fazzolettoni venivano chiamati pok (), che significa “buona fortuna”, un riflesso della credenza popolare che la buona sorte potesse essere conservata all'interno di un pojagi cucito con cura. Una tipica conferma di questa credenza è l'uso del pojagi per avvolgere i regali di nozze.
Ecco ora un'approfondita digressione sui vari tipi di fazzolettoni per fagotti usati tradizionalmente sia a corte che dalla popolazione minuta. I pojagi trazionali si possono grosso modo suddividere in kungbo (궁보 ) e minbo (민보 ), distinzione che si basa sulle funzioni svolte e sul luogo in cui si usavano (kung significa “palazzo” e min “popolo”).
Un pojagi con disegni floreali ricamati
kungbo si riferiscono ai pojagi usati all'interno del palazzo reale per avvolgere e conservare vari oggetti. Si distinguono per la loro raffinatezza, che riflette i gusti ricercati dell'aristocrazia. Fra i vari tipi di kungbo usati nei palazzi reali abbiamo lo hotpo, un pojagi non foderato fatto di un unico pezzo di stoffa per riporre il necessario per il letto, compresi materassino e coperte, il kyŏppofatto di due strati di stoffa cuciti l'uno sull'altro e utilizzato per metter via vari tipi di oggetti usati a corte, il sikchibo, fatto parzialmente o interamente di carta oleata per avvolgere il cibo durante gli eventi di corte, il nubibo, un pojagi trapuntato, il norigaebo, usato per custodire i ciondoli indossati sulle giacchette femminili, e infine il tangch'aebo, un pojagi decorato con disegni di lampi.
minbo, come si è detto, sono invece quelli usati dalla popolazione comune. A differenza dei kungbo, fanno più parte della vita di ogni giorno, cosicché sia il loro uso che i materiali di cui sono fatti variano notevolmente. Comprendono il chŏndaebo, un pojagi a forma di cintura per portare documenti e denaro, il pobusangbo, un pojagi di grandi dimensioni usato dai mercanti di borse per portare le loro merci, ilhuribo, indossato attorno alle spalle quando si viaggiava, il sangbo, usato per coprire un tavolo, l'ibulbo, usato per contenere le cose del letto (materassino e coperte), lo hampo, usato per avvolgere una scatola con regali di nozze, e il pandigŭrŭtpo, che si usava per metter via le cose per il cucito.
Una copertura di garza sottilissima
Vi erano anche dei pojagi speciali usati in occasione dei matrimoni, come il kirŏgibo, per avvolgere un paio di oche selvatiche cerimoniali che venivano tradizionalmente poste sull'altare del matrimonio, il sajudanjabo, usato per portare un messaggio contenente i “quattro pilastri” (anno, mese, giorno e ora di nascita) della futura sposa, lo yedanbo, con il quale si avvolgevano i regali dalla famiglia della sposa offerti ai membri della famiglia dello sposo, e infine il p'yebaekpo, che si usava quando una coppia appena sposata effettuava gli inchini tradizionali ai membri della famiglia del marito.
Esistevano anche pojagi per scopi speciali, come il myŏngjŏngbo, usato nei funerali per coprire le registrazioni ufficiali delle azioni compiute dal defunto, il yŏngjŏngpong'anbo, per mettere in un reliquiario il ritratto di un defunto, e il possambo, per portare via (con la forza) una vedova in una pratica derivata da un consenso sociale implicito alle sue seconde nozze.
Pojagi di Kim Hyeon-hui in mostra
presso il Gana Art Center a Seul
Alcuni indicano come motivo del grande sviluppo del pojagi nella vita di tutti i giorni il fatto che le normali case coreane sono molto piccole. Vivendo in uno spazio piccolo, come facevano tradizionalmente i coreani, divenne un fatto naturale usare in modo così esteso dei fazzolettoni per avvolgere le cose, invece di mobili che poi occupano spazio inutilmente. I pojagi, infatti, potevano essere usati per avvolgere e conservare anche grandi oggetti e poi, quando non servivano più, potevano essere piegati e riposti con un'occupazione di spazio minima.
Ma soprattutto si può affermare che il pojagi si sia sviluppato dallo sforzo cosciente della popolazione di valorizzare debitamente gli oggetti che scambiavano con gli altri, avvolgendoli in un bel tessuto creato con amorevole attenzione. Hanno anche un carattere superstizioso in quanto venivano prodotti nella speranza di portare fortuna a chi li usava. È da lungo tempo che i coreani credono che qualcosa prodotto con grande sforzo possa contribuire alla buona sorte. Oggi il pojagi attira sia per il suo uso pratico che per il suo valore estetico e artistico.
Un pojagi di seta creato da Kim Hyeon-hui
I coreani non compravano delle stoffe nuove per fare i pojagi. Siccome i tessuti non erano così facilmente disponibili in passato, quando la tessitura veniva fatta a mano, le donne coreane conservavano tutti i resti e gli scampoli dei tessuti avanzati dalla confezione dei vestiti e delle trapunte e li usavano per creare dei bellissimi fazzolettoni per avvolgere e per coprire. Siccome vengono creati con piccoli pezzi di stoffa, di solito non seguono uno schema di colori predefinito. Generalmente, tuttavia, a colori primari vivaci si contrappongono colori più smorzati, seguendo il gusto estetico della persona che li crea.
Oggi Kim Hyeon-hui, creatrice di pojagi artistici, è riuscita ad aggiungere motivi contemporanei alla semplice bellezza e alla versatile funzione del pojagi tradizionale. I suoi lavori non sono articoli comuni: sono opere culturali molto ammirate in tutto il mondo. Come opere d'arte sono state dapprima scoperte dai giapponesi. Oggi le sue creazioni sono esposte non solo nel Museo del Folclore Nazionale in Corea, ma anche nel Museo di arte asiatica di Seattle, negli Stati Uniti.
Kim Hyeon-hui insegna i fondamenti della
creazione dei pojagi a un gruppo di allieve
La bellezza dei pojagi di Kim Hyeon-hui deriva dalla sua sensibilità per i colori e dal magnifico lavoro di ricamo. I suoi pojagi sono fatti con stoffa tinta con ingredienti naturali, una pratica che deriva dal suo grande amore per i fiori. L'uso di questo metodo tradizionale di tintura della stoffa le è stato suggerito dal fatto che, con le stoffe tinte sinteticamente, non riusciva a ricreare i veri colori dei fiori che voleva rappresentare. Kim tinge personalmente le stoffe che usa per i propri lavori e prepara gli ingredienti per le tinte raccogliendo i fiori e gli altri elementi necessari. La tintura della stoffa, afferma, è coinvolgente quanto la creazione dello stesso pojagi.

Basato su “Bojagi Craftswoman Kim Hyeon-hui”, in Koreana, vol.15, n.3, autunno 2001. Testo originale di Lee Hyoung-kwon. Pubblicato con autorizzazione della Korea Foundation, che si riserva il copyright sull'intero contenuto della rivista. Riferimento: Koreana.

TRATTO DA http://www.corea.it/pojagi.htm

FOULARD MODA 2013 2014 SATERIALE

giovedì 12 settembre 2013

Campioni in stoffa

Lora Totino


Lora Totino

Tessuti storici e attuali
Vengono presentati, esposti cronologicamente, una serie di tessuti realizzati nell'arco di circa un secolo da alcuni dei piu' importanti lanifici biellesi. I piu' antichi sono stati fabbricati da lanifici ormai scomparsi e costituiscono quindi una testimonianza preziosa ed unica di un prodotto storicizzato. I tessuti piu' recenti tra quelli esposti sono stati prodotti da alcuni dei piu' importanti lanifici biellesi. Questi tessuti, assieme a quelli fabbricati dagli altri lanifici biellesi e valsesiani che non e' stato possibile esporre, rappresentano gli esempi piu' attuali e qualitativamente piu' rilevanti della stoffa oggi prodotta. Questa stoffa puo' essere anche "toccata", compiendo un gesto un tempo consueto, per meglio percepirne la qualita' che, e' possibile affermare con orgoglio, non teme confronti al mondo.


Il telo delle lavorazioni
Il complesso e articolato processo che trasforma la lana in tessuto viene sintetizzato descrivendo ogni lavorazione, illustrata attraverso immagini e mini-video con lo scopo di presentare gli snodi principali del ciclo di trasformazione e di rendere familiari termini e concetti verosimilmente estranei al bagaglio di conoscenze di chi, per formazione, non e' un "tessile".


I campionari d'archivio
Sono esposti, in ordine cronologico nell'arco temporale che copre circa centocinquant'anni, i "classici" campionari d'archivio: la memoria tecnica del prodotto, realizzati da alcuni dei piu' noti lanifici biellesi a partire dagli anni Sessanta dell'Ottocento fino a quelli piu' attuali. Anche se la struttura, la composizione e la rilegatura sono tipologicamente simili, e' possibile osservare diversi criteri di allestimento dei campionari stessi; alcuni contengono solo il campione di tessuto ed il riferimento all’articolo, altri descrivono i filati impiegati ed i dati tecnici di fabbricazione. Non e' raro trovare riferimenti al venduto ed annotazioni di vario tipo. Alcuni dei campionari esposti sono stati prodotti da lanifici che hanno da tempo cessato la loro attivita' e costituiscono pertanto una preziosa documentazione storica. La maggior parte invece e' stata prodotta da lanifici che continuano a mantenere viva la secolare tradizione laniera del Biellese.

Campionari da esposizione
I quattro eleganti e preziosi campionari da esposizione sono quanto rimane dei ventinove esemplari predisposti dall'Associazione Laniera per essere inviati all'Esposizione Universale di Bruxelles del 1910, ottenendo un esito prestigioso per i lanieri italiani in concorso: il diploma di Grand Prix con tanto di medaglia di bronzo, che costituiva il piu' alto riconoscimento in palio.

L'Archivio Vercellone
Alcuni archivi biellesi conservano consistenti raccolte di campionari d'epoca. E' questo il caso delle Fondazioni Sella e Piacenza, dell'Archivio Pria, di Casa Zegna, del Centro di Documentazione dell'industria Tessile (presso la "Fabbrica della ruota") e di alcune importanti collezioni private. Particolare rilievo per antichita' e consistenza assume l'archivio Vercellone, depositato presso il Comune di Sordevolo, nel quale sono raccolti tre fondi archivistici legati ad altrettante fasi aziendali del lanificio Giovanni Battista Vercellone nel periodo compreso tra il 1730 ed il 1899, dal quale provengono significativi documenti e campionari esposti in mostra.

Campionari tra tecnica e arte
Questo settore della mostra documenta ed illustra le modalita' di preparazione, presentazione, conservazione e commercializzazione dei campionari nelle loro varie tipologie ed espressioni artistiche. Un video da' voce ad alcuni dei "protagonisti" che raccontano la loro esperienza di progettazione dei campionari. La ricostruzione del tavolo del disegnatore e la documentazione fotografica di alcuni degli ambienti nei quali i disegnatori operano introducono il visitatore nell'ambiente piu' "segreto" del lanificio dove vengono progettate le collezioni. Un telaio da campioni ottocentesco caricato con il tricolore puo' essere considerato il simbolo della mostra. Centocinquanta campioni, uno per anno dal 1861 al 2011, sono proiettati cronologicamente, quasi a formare un film che documenta la creativita' sviluppata dai disegnatori biellesi nell'arco temporale dell'Unita' d'Italia. L'allestimento si conclude con un settore dedicato alla sartoria e ad alcune nuove proposte di abiti e capi, come la "camisa 'd campiun", che dai campionari traggono ispirazione.

I campionari "firmati"
I sedici "quadri", incorniciati in nero, che accompagnano il percorso cronologico degli archivi sono stati realizzati a cura del Lanificio Successori Reda; contengono un campione di stoffa e la sua "messa in carta": la scheda tecnica contenente precise indicazioni riguardo alla sua composizione, all'armatura e passatura; inoltre non manca il riferimento al disegnatore che progetto' il tessuto in una specifica data.

Agnona

Il tavolo del disegnatore
Matassine di filato, cartelle con le coloriture presenti nei vari titoli, mazzette di tessuti... Il regolo, la carta tecnica su cui disegnare, l'ago per scampionare, l'immancabile lentino e qualche campionario d'epoca o di tendenza a cui ispirarsi... Sono soltanto alcuni degli abituali strumenti di lavoro che il disegnatore utilizza per ideare nuovi disegni e articoli. La ricostruzione del tavolo di lavoro del disegnatore intende fornire un'idea almeno approssimativa dell'ambiente nel quale si sviluppava la fantasia, forse alimentata dal consueto disordine creativo.

Interpretazioni artistiche
L'elaborazione artistica delle "tendenze moda" fornite dal Comitato Moda negli anni Ottanta ha suggerito a Sergio Ferla due composizioni riferite al Palio di Siena e realizzate con un collage di campioni. Il titolare e disegnatore dell'omonimo lanificio ha ideato anche un curioso profilo di un "baby alpaca" contenente campioni di tessuto che riproducono la coloritura del manto del camelide.

Il telaio da campioni
Questo telaio a mano ottocentesco, poi meccanizzato e successivamente pneumatizzato, ha lavorato per oltre un secolo. Puo' essere considerato un simbolo dell'operosita' e dell'ingegno biellese. In occasione della mostra "Campioni in stoffa" e' stato restaurato e "caricato" con un ordito che, opportunamente tramato, consentisse di formare la bandiera tricolore nel contesto della celebrazione del 150esimo dell'Unita' d'Italia. E' affiancato ad una bandiera pre-unitaria tessuta in un telaio simile a quello esposto.

telaio

Agnona

TRATTO DA http://www.docbi.it/campioni.htm