STORIA DEL TESSUTO ANTICO


LE VESTI

Plinio il Vecchio si scandalizzava: "Oggi si vanno a comprare i vestiti di seta in Cina, si vanno a pescare le perle in fondo al Mar Rosso, a trovare nelle viscere della Terra gli smeraldi, oggi addirittura si è inventati di bucarsi il lobo delle orecchie: non bastava portare i gioielli nelle mani, sul collo o fra i capelli, dovevano essere conficcati anche nel corpo."

 La differenza tra vesti maschili e femminili non consisteva tanto nella foggia quanto nei tessuti e nei colori.
Le stoffe femminili, e non solo, potevano essere di diversi colori; con lo zafferano si otteneva una bellissima tintura gialla, piùaranciata o più pallida a seconda della tinta impiegata, mentre dall'uva bianca si otteneva il verde, mista con l'uva nera il viola, mentre l'uva nera dava tinte dal grigio al bruno; colla bava del mollusco Murex, si otteneva il color porpora, ma insieme al mollusco essiccato e tritato, donava alla stoffa una sfumatura bluastra, l'“oltremare purpureo”.
Gli Etruschi iavevano insegnato ai Romani ad usare tinture come robbia (rosso), zafferano (giallo) e guado (celeste).
Secondo Vitruvio la tintura indaco veniva dall'India, ma sembra ce ne fosse anche una autoctona ottenuta col fiordaliso. Si usavano pure ocre minerali con ossidi idrati di ferro per ottenere i colori più svariati. Taranto divenne famosa per la tintura con l'oricello, un tipo di lichene, che mischiato alla porpora serviva ad abbassarne il costo notevole. Nella Roma del II sec. a.c. i tintori erano suddivisi per categorie; i croceari per il giallo, i violarii per il viola, le officinae purpurinae per la porpora.
Le donne Romane poi non avevano solo stoffe in tinta unita ma anche a strisce, come dimostrano numerosi busti romani i cui vestiti erano imitati dal marmo, e pure ricamate o intessute a telaio a disegni vari.

Marziale:
I più ricchi devono fare a gara con i regali: il negoziante vanitoso del portico di Agrippa
gli porti i ricchi mantelli purpurei di Cadmo fenicio.


Le donne usavano come biancheria intima delle mutandine, subligar, ed una fascia per reggere il seno, lostrophium, o la fascia che lo ridimensionava fascia subligaris o mammillare, perchè il seno bello era piccolo. Ma se il seno era davvero minuscolo si ricorreva alle imbottiture.

Poi indossavano la tunica, più lunga di quella maschile; sopra questa la stola, veste caratteristica della matrona romana, così come la toga è il costume nazionale degli uomini.

La stola era una sopravveste molto ampia che scendeva sino ai piedi, stretta in vita da una o due cinture, una più alta e l’altra sui fianchi, oppure una incrociata sui seni e poi passata intorno alla vita. Era chiusa sul petto da una fibbia, oppure sulle spalle da bottoni ornati di pietre preziose, con maniche corte o lunghe, non cucite ma fermate sopra da nastri o bottoni, ornata in fondo da una striscia di porpora o da una balza ricamata in oro.

In età repubblicana le matrone ponevano sulla stola un mantello quadrato ma non ampio, sostituito poi dalla palla, un grande manto rettangolare che, a differenza della toga maschile, copriva entrambe le spalle, lungo fin sotto le ginocchia o fino ai piedi.

Il babylonicum era un ricco scialle orientale in gran voga durante l'impero, fine nel tessuto e con colori sgargianti, che si poneva intorno ai fianchi, facendolo salire o scendere secondo i gusti, in genere damascato o di velo ricamato o in tessuto operato, spesso con frange. Questo indumento metteva in risalto fianchi e sedere, per cui risultava molto sexi.
C'erano poi il patagium, larga striscia di stoffa purpurea, ricamata in oro, che decorava interamente la scollatura dell'abito prolungandosi fino all'orlo inferiore, e il segmentum, una o più strisce di stoffa a colori vivaci, con cui si ornava l'orlo inferiore delle vesti.

C'era poi la recta, una tunica bianca sprovvista di maniche, aderente alla vita e lievemente scampanata in basso. Era il vestito delle giovani spose romane, con sopra il flammeum, ampio velo color giallo fiamma da appoggiare sul capo e fatto scendere sul retro.

La rica era invece un'ampia sciarpa di velo ornata con frange, che veniva usata dalle donne nelle cerimonie religiose. Simile alla rica, ma di dimensioni più limitate, era il ricìnium, che era distintivo di lutto.

Talvolta le donne si coprivano la testa con un lembo della palla; nei tempi antichi era obbligatorio pena il ripudio, ma in era imperiale si portava solo nelle cerimonie.

La toga invece per la romana era un'onta, infatti erano o bbligate a portarla l'adultera e la prostituta.

Se prima i tessuti erano di lana, canapa e lino, in età imperiale diventarono misti: lana e cotone; cotone e lino, cotone e seta. I più preziosi erano i veli, le stoffe leggere e la seta, e le stoffe ricamate. Esisteva pure il bisso, una seta ricavata dalla secrezione di una conchiglia purtroppo scomparsa.

Tra le calzature più importanti c'era il solea, ossia il tipico sandalo romano ed il calceum, uno stivaletto alto fino a mezza gamba e stretto con dei lacci. Gli etruschi diffusero anche una specie di babbuccia orientale che le donne romane fecero tingere in diversi colori, con applicazioni in seta ed anche in oro.
Ma anche gli orpelli erano importanti: le donne romane quasi sempre ponevano nastri sui capelli a diverse altezze, prima solo rossi poi di diversi colori, e pure una fascia piuttosto alta che formava quasi un cono sui capelli. I nastri erano di seta e talvolta di velo ritorto.
TRATTO DA http://www.romanoimpero.com/2009/07/la-donna-romana.html

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