di Cristina Borgioli
ABSTRACT: Many well-known artists of the XV and XVI centuries were involved in the production of textiles, in particular they supplied designs for embroideries and for patterned and figured silks. We are well informed about embroideries commissioned by high-rank patrons or istitutions, whereas we know much less about the working practice and organization of the different professionals (embroiderers, silk designers) during the process of current production. This article aims to describe how, and through which actors, the artists’ inventions were translated into textile manufacts.
La storiografia ha ricostruito un’immagine della bottega artistica tardomedievale e rinascimentale versatile e polivalente, un luogo in cui, attraverso l’esercizio del disegno, le “invenzioni” dei maestri potevano esprimersi in tipologie diverse di oggetti, dalla pittura alla progettazione di oreficerie, dai cartoni per il ricamo e la tessitura ai modelli per gli apparati effimeri.
Per il contesto fiorentino del XV e XVI secolo, ampiamente indagato anche per quanto riguarda la manifattura serica e il ricamo – che furono attività fondamentali per lo sviluppo economico della città – è abbondante e conosciuto il coinvolgimento di artisti assai noti nella produzione di prototipi per il settore tessile:
Antonio Pollaiolo e i disegni per i ricami del parato del Battistero fiorentino e del paliotto assisiate di Sisto IV; Sandro Botticelli per quelli relativi al cappuccio di piviale del Museo Poldi Pezzoli (e per quelli di Orvieto, Pietrasanta, Sibiu e Siena); Paolo Schiavo per il progetto del tondo a ricamo conservato a Cleveland; Raffaellino del Garbo e Andrea del Sarto per il parato Passerini a Cortona1. Davvero lungo sarebbe poi l’elenco degli artisti la cui maniera è stata avvicinata al meno prezioso ma più nutrito repertorio di tessuti figurati di ambito fiorentino2.
Il nucleo dei manufatti ricamati ora citati costituisce un campione della “eccellenza” della produzione del tempo, non a caso affidata, nella sua progettazione, agli artisti più illustri e commissionata dalle alte sfere religiose3.
Nello studio di queste opere la critica si è dunque per molto tempo concentrata soprattutto sull’attribuzione – condotta principalmente per via stilistica piuttosto che documentaria – dei disegni preparatori, lasciando invece in un cono d’ombra la ricostruzione del processo di traduzione dell’idea dell’artista in oggetto concreto, e di quei profili professionali ad esso deputati. Se poco sappiamo della figura del ricamatore e dell’organizzazione della sua officina, altrettanto misterioso è il mondo della bottega del tessitore, specialmente per quanto concerne il delicato momento del trasferimento del disegno tessile sul telaio. Si deve poi rammentare che, accanto alla produzione aulica e su committenza – per la quale veniva richiesta la collaborazione delle botteghe artistiche più importanti – esisteva anche una produzione ben più diffusa ma meno sontuosa, seppur spesso preziosa, brulicante di diverse figure professionali dai contorni ancora sfuggenti.
L’intento delle riflessioni qui proposte è illustrare alcuni di questi processi e i loro attori, in particolare nel corso del XV secolo, nel tentativo di descrivere come le idee furono trasformate in manufatti grazie al concorso tra saperi e “manualità” diverse ovvero attraverso l’opera di figure delle quali non ci resta spesso alcuna notizia, fatta eccezione per rari casi come quello del ricamatore Paolo da Verona, elogiato dal Vasari nel noto passo (Giuntina 1568) sulle Storie del Battista disegnate da Antonio Pollaiolo:
«Furono ricamate le storie della vita di San Giovanni, con sottilissimo magisterio et arte di Paulo da Verona, divino in quella professione sopra ogni altro ingegno rarissimo. Dal quale non sono condotte manco bene le figure con l'ago, che se le dipignesse Antonio col pennello. Di che si debbe avere obligo non mediocre alla virtú dell'uno nel disegno, et alla pazienza dell'altro nel ricamare»4.
Per ricostruire i processi della lavorazione a ricamo, che coinvolse artigiani con specializzazioni differenti, dobbiamo prima di tutto distinguere tra produzione seriale – destinata, per esempio, alla decorazione delle vesti liturgiche – e produzione aulica dovuta a particolari committenze5.
Nell’atelier di ricamo, che poteva essere una bottega artigiana ma anche un monastero, per i lavori di tipo “corrente” furono presumibilmente utilizzati modelli standard, variamente modificabili e assemblabili nel corso dell’esecuzione del lavoro ad ago6. Tali modelli potevano riprodurre, per esempio, figure di santi e, separatamente, strutture architettoniche (nicchie, troni, edicole) atte a ospitarli. Una volta assemblati assieme, questi modelli potevano essere riprodotti tal quali dall’ago del ricamatore oppure modificati in corso d’opera attraverso l’introduzione di elementi via via differenti, come gli specifici attributi dei santi o altri particolari dettagli. Si può supporre che, in questo caso, anche la scelta dei colori da utilizzare nella campitura a ricamo potesse essere a discrezione del ricamatore.
Nella produzione seriale quindi esisteva un certo margine di autonomia per il ricamatore che, come vedremo, poteva talvolta possedere professionalità nel disegno e realizzare in proprio i modelli. Più vincolato al prototipo doveva essere invece il lavoro da eseguire su cartoni forniti dalla committenza: in questa circostanza la prima operazione effettuata nella bottega del ricamatore doveva essere il fedele trasferimento del disegno sul supporto tessile da ricamare. Sfortunatamente sappiamo poco su come dovessero presentarsi tali disegni, se si trattasse cioè di autografi di piccole dimensioni da ingrandire per la messa in opera o se le proporzioni rispettassero ab origine le misure del soggetto da eseguire ad ago, né a chi spettasse l’eventuale ingrandimento in scala7; è comunque possibile che, anche all’interno del laboratorio di ricamo, l’operazione di trasferimento del disegno preparatorio sulla tela da ricamare fosse affidata a un pittore o comunque a un professionista esperto nel disegno8.
Sicuramente il disegno preparatorio non poteva essere troppo sommario, tale cioè da definire solo le linee di contorno come avveniva per la produzione seriale, poiché il ricamatore doveva attendere puntualmente al modello, traducendone ad ago ogni dettaglio con dovizia. Tale trasposizione poteva essere particolarmente difficile, per esempio, nel caso di ricami a or nué, quando cioè la tela dove era stato trasferito il disegno risultava completamente campita da fitti punti in filato aureo al momento di essere ricamata in sete policrome: il ricamatore addetto all’esecuzione del ricamo in seta non poteva così leggere il disegno sulla tela sottostante se non frammentariamente e al momento in cui sollevava i fili d’oro per ricamarvi in filati policromi quegli stessi tratti che vi soggiacevano. Sembra plausibile dunque che una maquette dell’intera opera dovesse comunque essere visibile all’occhio dell’esecutore del ricamo, possibilmente corredata da indicazioni relative ai colori da usare. Alcuni documenti, come i pagamenti per i modelli del parato di San Giovanni Battista realizzati da Antonio Pollaiolo – in cui si legge: «Disegni si dipingono per Antonio di Jacopo del Pollaiolo per i quali si paga fiorini 90» –, sembrano corroborare l’ipotesi che i prototipi colorati fossero uno strumento utilizzato almeno per la realizzazione di particolari commissioni9. Nel suo trattato L’art du brodeur del 1770, Saint-Aubin descrive l’elaborazione di copie colorate da un modello, convalidando dunque la supposizione che quest’attività sia stata prassi diffusa e longeva presso le officine di ricamo10.
I cartoni colorati si sottraevano all’inevitabile usura dovuta alla foratura per lo spolvero dei disegni destinati a essere trasferiti su tela ed è possibile quindi che potessero essere conservati nelle botteghe dei ricamatori come modello se non costituire addirittura oggetto di scambio, analogamente a quanto avveniva per i cartoni documentati nella pratica dell’arazzo11.
Una volta riprodotti in scala, i modelli su carta potevano essere trasferiti su tela mediante la tecnica dello spolvero o, nel caso di tele molto sottili, del ricalco in controluce. Per questi due procedimenti troviamo una descrizione piuttosto dettagliata nel libro di modelli cinquecentesco Il Burato libro de recami di Alessandro Paganino12.
L’autore spiega che la tecnica del ricalco consisteva nel mettere il disegno sopra la tela tirata su un telaio e, chiuse tutte le finestre tranne una o ponendo il telaio sopra due panchetti al di sopra di un lume, tracciare sulla stoffa il disegno a penna in controluce. Il metodo che però permetteva una resa di maggiore precisione era quello dello spolvero:
[…] piglia uno ago sottile e va forendo tutto l’orlo del disegno facendo che il buco sia poco distante l’uno dall’altro: e habbia avvertenza che tenghi sotto esso disegno un panno di lana fina e quando tutte novo terai disopra el riverso e questo perché l’ago non intri troppo abbasso perché farebbe il buco troppo grande. E avvertissi che quando tu forerai che basti solamente la ponta di ago passi. E fatto che tu aerai el foro, piglierai una pietra pomice dolze e spinerala a guisa di tavoletta; e dipoi piglia el disegno preforato e rivoltalo sottosopra […] onde con ditta pomice la menerai dolcemente sopra esso perforato infintanto che la pomice hara consumata quella carta superflua e dipoi detto perforo servirà a spolverizzare da ambe due le bande e habbi avertenza che quando tu troverai che non si scontrano i disegni per el dritto della stampa volta il disegno sottosopra e riscontra il lavoro e dipoi piglia la tua tela o panno di seta o panno di lana quello che tu vuoi disegnare, e distendelo sopra una tavola e confica quello e dipoi piglia il disegno forato e pollo sopra ditto panno. E poi piglierai uno poco di carbone di salice e polo in uno strasso di panno lino sottile e legalo in esso e pestalo con una pietra e dipoi lo mena sopra esso perforato infintanto che rimanghi il disegno sopra ditto panno o tela che sia: di poi leverai il perforo e con la bocca soffierai pian piano: infino a tanto che sia andata via quella polvere superflua e dipoi piglierai la penna e andrai disegnando come tu vedrai l’opera dipoi potrai lavorare ditto disegno a uso di ricamo.
Un altro procedimento, in cui è lo stesso pittore o maestro di disegno a elaborare il modello sulla stoffa da ricamare, è quello illustrato da Cennino Cennini, che descrive la conduzione diretta del disegno sulla tela, comprensiva della definizione di ombreggiature e sfumature:
E pertanto fatti mettere a’ predetti maestri [di ricamo] tela o zendado in telaio bene disteso; e se è tela bianca, togli e’ tuo’carboni usati, e disegna quello che vuoi. Poi piglia la penna e lo inchiostro puro, e rafferma, si come fai in tavola con pennello. Poi spazza il tuo carbone. Poi abbi una spugna ben lavata, e strucata d’acqua. Poi con essa stropiccia la detta tela dal lato dirieto dove non è disegnato, e tanto meno la detta spugna, che la detta tela rimanga bagnata tanto, quanto tiene la figura. Poi abbi un pennelletto di varo mozzetto; intingilo nell’inchiostro e struccalo bene; e con esso cominci ad aombrare ne’luoghi più scuri, riducendo e sfummando a poco a poco. Tu troverai che la tela non serà si grossa, che per questo tal modo farai si le tue ombre sfumate, ch’el ti parrà una maraviglia. E se la tela s’asciugassi innazi avessi fornito d’aombrare, ritorna colla detta spugna a ribagnarla a modo usato. E questo ti basti a l’opera della tela13.
Per il ricamo di tipo seriale è molto probabile che la tecnica più usata fosse quella dello spolvero – descritta per la realizzazione di drappi d’oro anche dallo stesso Cennini nel capitolo CXLI14–, poiché permetteva di riutilizzare uno stesso prototipo. I disegni, infatti, potevano essere riadoperati più volte, rimanendo nell’officina di ricamo finché questa restava attiva, come sembra confermare Vasari (Giuntina 1568) a proposito dei molti cartoni forniti da Raffaellino del Garbo a ricamatori e conventi:
[…] et ad alcune monache et altre genti, che allora ricamavono assai paramenti da chiese, si diede a fare disegni di chiaro scuro e fregiature di santi e di storie per vilissimo prezzo; per che, ancora che egli avesse peggiorato, talvolta gli usciva di bellissimi disegni e fantasie di mano, come ne fanno fede molte carte, che poi doppo la morte di coloro che ricamavono si son venduti qua e là15.
Uno stesso cartone poteva essere addirittura riutilizzato dopo molti anni, come testimoniano i documenti quattrocenteschi del convento fiorentino di Santa Verdiana dove si dichiara di aver usato per alcuni ricami dei disegni risalenti a ben sedici anni prima: «richamati e’ brusti erano stati disegnati anni sedici»16.
La pratica dello spolvero è ampiamente testimoniata dalle tracce di foratura che punteggiano alcuni fogli nei quali sono stati riconosciuti disegni per ricamo. Tra questi ricordiamo, per esempio, i due attribuiti a Raffaellino del Garbo per i tondi con Madonna e san Giovanni Battista destinati alla decorazione della pianeta del parato Passerini di Cortona17 e il tondo realizzato a penna con bistro, attribuito allo stesso autore, conAngelo annunciante oggi al Metropolitan Museum di New York (fig.1)18.
Un altro interessante esempio è il disegno a inchiostro scuro acquerellato con Maria Maddalena conservato nello Staatens Museum for Kunst di Copenhagen, dove la sagoma della santa risulta, oltre che puntinata, ritagliata per essere riportata direttamente sulla tela (fig.2)19. Berenson, che attribuì il disegno al giovane Ghirlandaio, fu il primo a interpretare il foglio come un modello per ricamo, mentre più di recente Cadogan l’ha ritenuto una copia. Di fatto quest’ultima ipotesi risulta comunque stimolante, in quanto testimonierebbe l’utilizzo e la circolazione, anche nelle botteghe dei ricamatori, di copie da maestri utilizzabili come modelli.
Accanto alle, pur poche, sopravvissute attestazioni materiali di disegni per ricamo, alcune informazioni sulle pratiche di traduzione su stoffa emergono oggi dallo studio delle tele di supporto analizzate in occasione di restauri20.
Lo studio dei supporti, come quello condotto sul taffetas del cappuccio di piviale con Incoronazione della Vergine conservato al Poldi Pezzoli, ha permesso di constatare che il disegno sulla stoffa – trasferito mediante spolvero nelle sue linee essenziali per essere poi ripassato a inchiostro (in genere a pennello o punta di piombo) –, comprende talvolta anche particolari non necessari all’esecuzione diretta del ricamo21. In alcuni casi infatti sulla tela è stato trovato anche il disegno dei volti, sebbene questi risultino invece ricamati a parte e applicati in un secondo momento (fig. 3)22. Il disegno sulla tela doveva quindi servire al ricamatore anche per avere una visione d’insieme della composizione, cosa assai utile se pensiamo, come nel caso di ricami su fondo oro, alla necessità dell’artigiano di rendersi conto degli spazi da lasciare liberi per l’applicazione di quei componenti elaborati a parte.
Nel supporto del ricamo del paliotto di Sisto IV conservato ad Assisi, sono state rinvenute invece ombreggiature a chiaroscuro e tracce di colore rosso-brune nelle porzioni di tela sottostanti gli incarnati23. Ciò potrebbe far pensare alla possibilità che le tele di supporto, oltre a ospitare i contorni del disegno, potessero anche fornire alcune indicazioni sul colore del filato da utilizzare. In realtà le tracce di pigmento nel paliotto assisiate sembrerebbero riferibili a un antico restauro24; sappiamo però che, fin dal XIV secolo, in ambito senese non fu raro l’utilizzo di una tecnica “mista” per l’esecuzione di alcuni ricami, che prevedeva cioè l’uso della tempera per la resa degli incarnati nelle parti più minute dell’opera. Questa tecnica, utilizzata anche nei ricami del piviale di Niccolò V conservato al Museo del Bargello, testimonia l’intima connessione tra ricamo e produzione pittorica e miniatoria25. A tale proposito non è forse scontato ricordare che tra i ricettari assemblati nel suo trattato all’inizio del Quattrocento, Giovanni Altichiero inserisce anche alcune ricette di origine inglese fornitegli da un ricamatore fiammingo, tal Tederico attivo alla corte di Gian Galeazzo Visconti, e relative alla preparazione di acque colorate per dipingere su tela26. Il ricamatore appare molto aggiornato su procedimenti innovativi – le tele sono dipinte con lacche e colori trasparenti con sola acqua come legante – e ciò lascia immaginare che anche le botteghe di ricamo fossero luoghi di sperimentazione, «di affinamento delle tecniche usate, di continua rielaborazione, quindi, delle conoscenze già consolidate»27.
Così come per il ricamo, anche nell’industria tessile un ruolo fondamentale lo rivestirono i “disegnatori”, ovvero gli ideatori delle decorazioni poi tradotte in stoffe operate. Le notizie circa queste figure professionali sono abbastanza scarse: sicuramente ci fu una collaborazione tra pittori, tessitori e mercanti tessili, dato che il successo commerciale di un determinato tipo di stoffa dipendeva anche dall’originalità del disegno, il cui utilizzo poteva essere tutelato attraverso specifiche clausole contrattuali e corporative28.
I tessuti figurali con scene sacre prodotti nel XV e XVI secolo a Firenze – che sono da considerare succedanei economici dei bordi ricamati – presentano espliciti riferimenti ai maggiori artisti del tempo sia negli schemi compositivi che nella resa stilistica (fig. 4). Ciò induce a ritenere che quegli stessi artisti abbiano, in maniera più o meno diretta, fornito prototipi per la tessitura, sebbene non rimangano attestazioni materiali capaci di convalidare tali ipotesi attributive29.
La mancanza di testimonianze grafiche ricollegabili alla produzione di tessuti costituisce sicuramente un grosso impedimento per la ricomposizione dei processi produttivi. Alla quasi totale assenza di disegni relativi a opere tessili, dobbiamo aggiungere poi la difficoltà di decodifica delle rare testimonianze conosciute: ancora dibattuta è, per esempio, l’interpretazione – ovvero se siano da leggere come schizzi finalizzati alla tessitura o copie di tessuti esistenti da riprodurre in pittura – dei fogli attributi a Pisanello (figg. 5-6) e del disegno dal taccuino di Jacopo Bellini (fig. 7) con motivi tessili, tutti conservati al Louvre30.
Sicuramente per trasformare un disegno in schema per la tessitura era necessaria una conoscenza non approssimativa del complesso funzionamento del telaio e delle caratteristiche materiali del tessuto da realizzare. Ciò fa supporre che, anche qualora fosse un pittore a fornire un modello, vi fosse comunque la necessità di una figura, forse diversa dallo stesso maestro tessitore, capace di tradurre il disegno in un prototipo realizzabile a telaio.
Queste figure potrebbero essere state i cosiddetti pictores sive levatores drapporum citati negli statuti quattrocenteschi dell’Arte di Por Santa Maria, o gli equivalenti disegnatori d’opre di lavorio di seta ricordati nello Statuto della Corte dei Mercanti di Lucca del 137631.
Nel quattrocentesco Trattato dell’arte della seta in Firenze, pubblicato da Girolamo Gargiolli nel 1968, si trova ad esempio un esplicito riferimento a tali figure (qui dette dipintori) al capitolo LIV, dedicato all’opera ovvero alla realizzazione della parte decorativa del tessuto. Il documento sottolinea l’importanza della chiarezza del disegno tessile soprattutto per quanto riguarda le indicazioni relative al movimento dei licci, dato che proprio da questo dipende la buona riuscita della tessuto operato:
L’opera ti può venir bassa per tre cagioni, la prima si è che anticamente i dipintori soleano mettere dodici lacci per decina o più, e questa si chiamava opera fine e oggi se ne mettono dieci o meno, e questa si chiama opera grossa. E se tu non sapessi che cosa è decina, pon mente una tavola dipinta, e vedra’vi molte cose che stanno a questo modo […] e a ognuno di questi casellini di dentro è un laccio, e da esservene dua o più o dua meno la fa alta, o bassa32.
Nei contratti che questi disegnatori stipulavano con le compagnie di tessitori era spesso specificato il numero di disegni da realizzare nell’arco di un anno: il lucchese Baldo Franceschi, ad esempio, nel 1424 firmava un contratto con un’impresa tessile di Genova per la fornitura esclusiva di almeno sessanta disegni l’anno33.
Frequentemente tali disegnatori creavano società con tessitori e pittori, dando luogo a botteghe dalla produzione “ibrida”: uno di loro, tal Benedetto del fu Giovanni da Siena, lucchese, costituì nel 1391 a Lucca una società «in arte pingendi figuras et tabulas et faciendi ed pingendi cofanos» con Fortino del fu Amadore da Firenze34, mentre sempre a Lucca, ma nel 1437, Francesco di Jacopo Franceschi – figlio di un tessitore e artista poliedrico (disegnatore di drappi, miniatore, pittore di cassoni e collaboratore nel 1418 di Battista di Gerio) – si associò con Biagio d’Antonio, padre del pittore Baldassarre di Biagio, tessitore di drappi e velluti35.
Al contrario di quanto accadeva in altri paesi – come Anversa, dove nell’ultimo decennio del XVI secolo pittori e ricamatori si contendono in tribunale il ruolo professionale di realizzatori di modelli per ricami36 – nella Firenze tardo quattrocentesca il clima di ideale unità operativa delle arti non impedì, ma anzi si rispecchiò nella effettiva collaborazione all’interno delle botteghe: lo mostrano l’impresa che lo Scheggia, nel 1480, condivise col ricamatore Lucha di Pietro37, o la collaborazione tra Bernardo di Stefano Rosselli (cugino del più noto Cosimo), il ricamatore Paolo da Verona (citato tra gli artigiani coinvolti nei ricami del parato del Battista) e il battiloro Antonio Filipepi, fratello di Sandro Botticelli38.
Anche quando non direttamente associati all’interno di una stessa bottega, tessitori, ricamatori, pittori e orafi lavoravano a diretto contatto. I documenti del catasto fiorentino del 1427 e del 1480 collocano infatti le botteghe di ricamatori e setaioli nel quadrilatero formato da via dei Pellicciai, via di Vacchereccia, via di Calimala e via di Porta Rossa, non distante cioè da note botteghe artistiche, come quella «a uso d’orafo» di Antonio Pollaiolo (via di Vacchereccia) o quella di Francesco Botticini (Borgo Santi Apostoli)39.
La collaborazione tra pittori, ricamatori, disegnatori tessili e tessitori fu dunque diffusa e osmotica, sebbene all’interno delle botteghe si operasse con distinte specializzazioni.
Negli opifici di ricamo una prima fondamentale differenziazione riguardava proprio i ricamatori distinti dai maestri ricamatori esperti nell’arte del disegno ovvero coloro che erano in grado di sviluppare autonomamente il modello da seguire per il lavoro ad ago. Quest’ultimo veniva ulteriormente ripartito tra diverse maestranze – quelle deputate, rispettivamente, alla realizzazione dei fondi, delle architetture, dei paesaggi, delle figure e, in alcuni casi, degli incarnati – in modo da poter lavorare contemporaneamente a più parti dell’opera ottimizzando i tempi di esecuzione40.
Alcuni documenti milanesi del quarto decennio del XVI secolo mostrano con chiarezza la distinzione tra ricamatori “semplici” e ricamatori “disegnatori”: un caso emblematico, citato in un recente saggio da Maria Paola Zanoboni, si riferisce a un pittore che accolse nella propria bottega un’apprendista per farne una maestra di ricamo capace anche nell’arte del disegno; dopo qualche tempo, presso la stessa bottega, giunse anche il fratello della donna, il quale invece fu regolarmente salariato – diversamente da quanto accadeva per l’apprendistato – per il proprio lavoro di ricamatore non specializzato41. Una simile distinzione nel percorso di apprendistato, relativa cioè al grado di specializzazione professionale, si ritrova anche nel settore della tessitura: a Piacenza, per esempio, già nel XIII secolo gli statuti ripartiscono i giovani operanti nelle botteghe in fanticelli ad discendum (i futuri maestri di tessitura) e fanticelli de mercedibus (semplici salariati)42.
Il documento milanese appare di particolare interesse non solo per l’illustrazione della suddivisione del lavoro nel ricamo e per l’attestazione della presenza di attività diverse all’interno di una bottega pittorica – un pittore, una maestra in disegno e ricamo, dei semplici ricamatori – ma, soprattutto, per la testimonianza relativa al lavoro femminile. Quest’ultimo infatti, pur ampiamente presente nella manifattura tessile, è raramente attestato a livello documentario a causa della mancata iscrizione delle donne nelle matricole delle diverse corporazioni43. In alcune città italiane il lavoro di ricamatrice non era addirittura autorizzato all’esterno dei conventi mentre in altri centri poteva essere svolto liberamente, come testimoniano alcuni pagamenti del 1415 effettuati presso delle ricamatrici senesi44. A tal proposito, una testimonianza iconografica particolarmente suggestiva, poiché rimanda alla consuetudine del ricamo femminile di tipo laico, è dato dall’allegoria dell’Industria che correda un autografo dei Documenti d’amore di Francesco da Barberino, in cui è descritta una figura femminile intenta a ricamare una borsa (fig. 8)45.
Se non molte sono le informazioni sul ruolo svolto dalle donne nelle botteghe di ricamo in Italia, ben diversa risulta la situazione per l’attività delle monache all’interno dei conventi, dove molte delle attività consentite dalla regola ben si conciliavano con le richieste del mercato laico, permettendo così lo sviluppo di manifatture specializzate volte anche all’insegnamento delle tecniche alle fanciulle: Incannatura, tessitura, lavorazione del filo d’oro, cucito e ricamo sono i settori nei quali le monache furono maggiormente attive46. A Firenze molti monasteri femminili ospitarono officine di ricamo, spesso associate alla produzione di filati aurei e passamanerie, instaurando un rapporto collaborativo con le botteghe tessili presenti in città47. Le monache fiorentine del convento benedettino delle Murate furono particolarmente rinomate come ricamatrici e, fatto che ribadisce il legame “commerciale” col mondo temporale, non solo per manufatti destinati ad uso liturgico ma anche profano48. Sappiamo che in questo monastero – specializzato nel ricamo figurato in oro49 – ebbe sede anche un importante scriptorium, generosamente finanziato da Lorenzo de Medici, il che fa ritenere le monache delle Murate abili anche nel disegno, pratica forse utilizzata nella stessa produzione di ricami50.
Opifici di ricamo esistevano naturalmente anche presso i monasteri maschili. Ricordiamo in proposito la notizia dei pagamenti a frate «Johanni de Neapoli, ordinis praedicatorum», fornitore negli anni Trenta del XV secolo di alcuni ricami per una mitra e tre cappucci destinati a papa Eugenio IV51, e quella relativa ai «molti ricami antichi, lavorati con molto bella maniera e con molto disegno dai padri antichi di quel luogo mentre stavano in perpetua clausura» riportata da Vasari nella descrizione del Convento camaldolese di Santa Maria degli Angeli nella Vita di Lorenzo Monaco52. Anche in questo caso va evidenziato il legame tra produzione miniatoria e ricamo all’interno di un medesimo convento: è interessante infatti notare che i ricami citati dal Vasari sono descritti come lavorati con «molto bella maniera e bello disegno», quasi a sottolineare il pregio artistico delle composizioni che, verosimilmente, furono elaborate esse stesse all’interno del monastero.
Di certo, nella seconda metà del XV secolo, le officine monastiche fiorentine – non sottoposte a imposte – poterono profilarsi come concorrenti alle botteghe di ricamo laico, sulle quali si esercitava invece una forte pressione fiscale, tanto che la contrazione del numero di quest’ultime nella seconda metà del secolo – registrato dai dati catastali del 1480 rispetto a quelli del 1427 – potrebbe spiegarsi con la tendenza dei ricamatori ad associarsi con altre figure in botteghe legate al settore tessile per arginarne le spese d’impresa53.
Che si lavorasse in un convento o in un’impresa laica, sicuramente la collaborazione tra abilità e competenze diverse, quasi un incontro e un intreccio di “mani”, fu un elemento essenziale per lo sviluppo di quel mondo articolato e vivace di artisti e artigiani di cui oggi abbiamo purtroppo un’immagine ancora piuttosto labile e lacunosa.
IMMAGINI
1. Raffaellino del Garbo, Angelo annunciante, disegno, New York, Metropolitan Museum of Art
2. Bottega del Ghirlandaio, Maria Maddalena con unguentario, disegno, Copenhagen, Staatens Museum for Kunst
3. Cappuccio di piviale ricamato con Incoronazione della Vergine su disegno di Sandro Botticelli, particolare del disegno sulla tela di supporto,Milano, Museo Poldi Pezzoli
4. Frammento in lampasso con Incoronazione della Vergine, Prato, Museo del Tessuto
5. Antonio Pisanello, Motivo tessile, disegno (Inv. 2537r), Parigi, Musée du Louvre
6. Antonio Pisanello, Motivo tessile, disegno (Inv. 2534r), Parigi, Musée du Louvre
7. Jacopo Bellini, Motivo tessile, disegno dal Libro di modelli fol. 88v, Parigi, Musée du Louvre
8. Allegoria dell’Industria, miniatura, Barb. Lat. 4076, c. 32v, Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana
1. Un’ulteriore attribuzione a Raffaellino del Garbo è quella relativa al disegno per il frammento ricamato in or nué con Pietà della Collezione Loeser (Musei Civici Fiorentini), recentemente restaurato: M. Ciatti, S. Conti, C. Fineschi, J.K. Nelson, S. Pini, Il ricamo or nué su disegno di Raffaellino del Garbo. Aspetti storico-stilistici, tecnici, minimo intervento e conservazione preventiva, in “OPD Restauro” 22, 2010 (2011), pp. 81-116.
2. Tra i primi studi che hanno indagato sistematicamente il rapporto tra modelli pittorici, ricami e tessuti figurati nell’ambito fiorentino del Quattrocento: A. Garzelli, Il ricamo nell’attività artistica di Pollaiolo, Botticelli, Bartolomeo di Giovanni, Firenze 1973; per un repertorio sulla produzione di tessuti figurati fiorentini nel XIV e XV secolo si veda il più recente I tessuti della fede. Bordi figurati del XV e XVI secolo dalle collezioni del Museo del Tessuto, a cura di D. Degli Innocenti, Firenze 2000.
3. La quasi totalità dei manufatti tessili meglio conservati riferibili al periodo in oggetto costituisce un esempio della produzione destinata al culto. La consapevolezza della preziosità dei materiali e della perizia tecnica necessaria alla loro esecuzione (specie per gli oggetti più sontuosi), unita al valore simbolico e sacro che tali manufatti rivestirono in ambito liturgico, ha contribuito alla loro tutela nei secoli; diversa sorte è invece toccata alle stoffe e ai ricami coevi utilizzati per l’abbigliamento laico, destinati dall’uso a essere reimpiegati in diverse forme fino alla loro consunzione e conseguente dispersione.
4. G. Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, Firenze 1966-1987. Consultato nella versione digitale all’indirizzo http://www.memofonte.it
6. Su questo aspetto si veda M. F. Tilliet-Haulot, La collaboration pour l’exécution des broderies liturgiques a la fin du Moyen Age, in Le dessin sous-jacent dans la peinture, Colloque IV, Université Catholique de Louvain, Institut Supérieure d’Archéologie et d’Histoire de l’Art, a cura di R. Van Schoutte, D. Hollanders Favart, Louvain La Neuve 1982, pp. 56-65.
11. Alla fine del Quattrocento si teneva ad Anversa un noto mercato degli arazzi in cui era possibile acquistare anche i patrons; questi, dopo essere stati messi in opera, divenivano proprietà dell’arazziere il quale poteva replicarli, modificarli e commerciarli liberamente. Cfr. E. Parma Armani, L’arazzo, in Le tecniche artistiche, a cura di C. Maltese, Milano 1985, p. 43; G. Delmarcel, L’auteur ou les auteurs en tapisserie. Quelques réflexions critiques, in Le dessin, cit., pp. 43-44. La pratica di creare cartoni colorati per il ricamo a or nué potrebbe forse essere stata mutuata proprio dalla lavorazione dell’arazzo che, a partire dal terzo decennio del XV secolo, risulta presente in molti centri italiani come Mantova, Ferrara, Venezia, Siena, Perugia e, più tardi, Firenze. Si veda in proposito: H. Smit, “Un si bello et onorato mistero”. Flemish weavers employed by the city government of Siena (1438- 1480), in Italy and the Low Countries artistic relations. The fifteenth century, Proceedings of the Symposium held at Museum Catharijneconvent, (Utrecht, 1994), Firenze 1999, p. 70.
12. Si tratta del libro di modelli per ricamo, destinato a un uso femminile e domestico, più antico prodotto in Italia. P. Alex. Paganino: Il Burato libro de recami (ed. Tuscolano 1531 ca. presso la Biblioteca Queriniana di Brescia), consultato nell’edizione anastatica Milano 1964, senza numerazione delle pagine. Per una panoramica sui libri di modelli per ricami e merletti si veda S. Urbini, Libri di modelli. Repertori per le arti decorative del Rinascimento in La Collezione Gandini. Merletti, ricami e galloni dal XV al XIX secolo, a cura di T. Schoenholzer Nichols, I. Silvestri, Modena 2002, pp. 41-54, con bibliografia precedente.
20 Una delle più antiche attestazioni di disegno preparatorio su tela per ricamo (XIII-XIV secolo) è la striscia di lino disegnata a inchiostro e parzialmente ricamata del Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto, proveniente dalla tomba di San Piero Paranzio. Cfr. Capolavori restaurati dell’Arte tessile, a cura di M. Cuoghi-Costantini, I. Silvestri, Padova 1991, cat. 13, pp. 93-95.
22. G. Delmarcel, Le dessin sous-jacent dans la broderie. A propos d’un antependium provenant de l’Hotel de Nassau, in Le Dessin sous jacent la peinture, a cura di R. Van Schoutte, D. Hollanders Favart, Université Catholique de Louvain, Institut supérieure d’Archéologie et d’Histoire de l’Art, Louvain La Neuve 1979, p. 52.
25. M. Carmignani I ricami del piviale di Niccolò V in Il parato di Niccolò V, a cura di B. Paolozzi Strozzi, Firenze 2000, p. 43-46. Si veda anche Eadem, Il ricamo nella Milano degli Sforza, in Seta oro cremisi. Segreti e tecnologia alla corte dei Visconti e degli Sforza, catalogo della mostra, Milano 2009-2010, a cura di C. Buss, Milano 2009, pp. 128 – 132.
27. D. Degrassi, La trasmissione dei saperi: le botteghe artigiane, in La trasmissione dei saperi nel Medioevo, secoli XII-XV, XIX Convegno internazionale di studi, Pistoia 2003, Pistoia 2005, p. 70. Più in generale, si può affermare che nell’ambito della produzione tessile la sperimentazione ha sempre costituito un ruolo fondamentale, specialmente per quanto riguarda l’importazione di tecniche provenienti da altri contesti geografici. La stessa circolazione degli artigiani, fossero essi tessitori e ricamatori, testimonia il continuo processo osmotico di conoscenze tecniche e saperi artigianali che ha costituito la base per lo sviluppo delle diverse manifatture.
29. Sicuramente la produzione di questa tipologia tessile, largamente diffusa in quanto più economica dei manufatti a ricamo, fu legata alla circolazione di modelli – semplificati e propagati spesso mediante incisioni e xilografie – discendenti da note opere pittoriche e scultoree, tradotte poi su stoffa con molteplici varianti. Per una visione d’insieme, oltre che al citato lavoro della Garzelli (cit. 1973), si rimanda a: M. Ciatti,I bordi figurati in I tessuti della fede, cit., pp. 7-21; G. Cantelli, Lampassi figurati del Rinascimento nel territorio di Siena, in “Drappi, velluti, taffetta et altre cose”: antichi tessuti a Siena e nel suo territorio, catalogo della mostra, Siena 1994, a cura di M. Ciatti, Siena 1994, pp. 60-86; P. Peri, Bordi figurati del Rinascimento, Firenze 1990; J.L. Santoro, Tessuti figurati a Firenze nel Quattrocento, Firenze 1981.
30. Codex Vallardi Inv. Nn. 2537r, 2533r, 2534r, Musée du Louvre; fol. 88v. del Libro di modelli di Jacopo Bellini, Musée du Louvre. In merito ai fogli del taccuino di Jacopo Bellini − sulla base dei quali si è sostanziata l’idea che il pittore fosse stato anche disegnatore di drappi −, è stato ipotizzato che questi fossero giunti in possesso dell’artista attraverso la famiglia della moglie, i Rinversi, di origine lucchese e attiva nell’industria serica. Su questo gruppo di disegni si vedano: L. Monnas, The Artists and the Weavers: the design of woven in Italy 1350-1550, in “Apollo” 125, 1987, pp. 416-421; Eadem, Merchants, Princes and Painters. Silk Fabrics in Italian and Northern Paintings 1300-1550, New Haven 2008, pp. 50-53; R. W. Scheller, Exemplum. Model-Book Drawings and the Practice of Artistic Transission in the Middle Ages (ca. 900-ca. 1470),Amsterdam 1995, cat. 25, pp. 265-275. Altri due possibili esempi di disegni tessili e per ricamo sono rintracciabili in due pergamene ricomposte e recentemente pubblicate dalla stessa Monnas di possibile origine lucchese o veneziana della seconda metà del XIV secolo. H. Coutts, M. Evans, L. Monnas, An early Italian textile drawing in the Victoria and Albert Museum, in “Burlington Magazine” 150, 2008, pp. 389-392.
31. Si veda in proposito quanto ricostruito sulla figura del «pittore d’opere» fiorentino Giovanni Paolo di Bartolomeo di Barone, attivo nella seconda metà del XV secolo, che riceve pagamenti per aver “acconciato” un telaio per paramenti; Monnas, The Artistis, cit., p. 420, con bibliografia precedente.
32. Nel Commento al Trattato dell’arte della seta, affidato a una serie di Dialoghi tra eruditi e artigiani raccolti dal Gargiolli, si spiega meglio questo passaggio: i “dipintori” «detti anche levatori d’opere […] prendevano una carta a casellini, su la quale disegnavano le opere. E ne’ buchi della tavoletta si facevano passare le corde da tirarsi a mano. Se il garzone che stava alla tira avesse tirato un laccio invece dell’altro, o ne tirasse più o meno del disegno, l’opera non veniva bene. Cfr. L' arte della seta in Firenze: trattato del secolo XV pubblicato per la prima volta. Dialoghi raccolti da Girolamo Gargiolli, Firenze 1868, pp. 87, 140; Monnas, The Artists, cit., p. 417. Si veda anche R. Schorta, Il trattato della seta. A Florentine XVth Century Treatise on Silk Manufacturing, in «Bulletin du CIETA», 69, 1991, pp. 57-83.
35. M.T. Fileri, Matteo Civitali e Baldassarre di Biagio “pictores” in Matteo Civitali e il suo tempo. Pittori, scultori e orafi a Lucca nel tardo Quattrocento, catalogo della mostra, Lucca 2004, a cura di M.T. Filieri, Milano 2004, p. 81; Eadem, Battista di Gerio in Sumptuosa tabula picta. Pittori a Lucca tra Gotico e Rinascimento, catalogo della mostra, Lucca 1998, a cura di M. T. Filieri, Livorno 1998, p. 314; G. Concioni, C. Ferri, G. Ghilarducci, Arte e pittura nel Medioevo lucchese, Lucca 1994, p. 367.
39. N. Pons in Arte e committenza in Valdelsa e Valdera, a cura di A. Padoa Rizzo, Firenze 1997, p. 58; L. Venturini, I Botticini, in Maestri e Botteghe, cit., p. 102. Sui documenti relativi al Catasto: U. Procacci, Studio sul Catasto fiorentino, Firenze 1996; M.L. Grossi, M.L. Bianchi,Botteghe economia e spazio urbano, in Arti fiorentine, cit., pp. 27-63; M.L. Grossi, Le botteghe fiorentine nel Catasto del 1427, in «Ricerche storiche», XXX, 2000, pp. 3-55 e M. L. Bianchi, Le botteghe fiorentine nel Catasto del 1480 in «Ricerche storiche», XXX, 2000, pp. 119-170.
42. F. Franceschi, La Grande Manifattura tessile, in La trasmissione, cit., pp. 355-389, p. 370. Per il lavoro a telaio la distinzione più frequente fu quella tra i licciaroli, ovvero chi era addetto al movimento dei licci necessari per aprire il “passo” per l’inserzione della trama, e i tessitori veri e propri.
43. Ibidem. È stato osservato che le lavoratrici maggiormente privilegiate nel Rinascimento furono le mogli e le vedove impegnate nel settore tessile, occupando spesso ruoli dirigenziali o di supervisione del lavoro e, specialmente nel nord Europa, potendo liberamente associarsi a specifiche corporazioni. M.L. King, La donna del Rinascimento, in L’uomo del Rinascimento, a cura di E. Garin, Roma-Bari 1993, p. 289. Nel Medioevo la figura della donna è centrale per esempio nelle attività relative alla produzione del filato, svolte soprattutto nelle case e tali da creare una serie di piccole imprese domestiche disseminate sul territorio. Cfr. L. Mariotti, Il ruolo della donna nei mestieri tra Medioevo ed età moderna: uno sguardo antropologico, in Una visione diversa. La creatività femminile in Italia tra l’Anno Mille e il 1700, atti del convegno, a cura di P. Adkins Chiti, Milano 2003, pp. 86-88. Diverse attestazioni riferiscono inoltre della presenza di mogli e figlie attive in botteghe tessili. Si veda anche G. Piccinni, La trasmissione dei saperi delle donne, in La trasmissione, cit., pp. 205-247.
45. A. Guidotti, La vocazione “artigiana” di Firenze Medievale: testi scritti e testi figurativi, in Arti fiorentine. La grande storia dell’Artigianato I, il Medioevo, a cura di G. Fossi, Firenze 1998, p. 278. Sull’iconografia dei mestieri tessili nel Medioevo si rimanda a S. Abraham-Thisse, La représentation iconographique des métiers du textile au Moyen-Age, in Le verbe, l’image et les représentations de la société urbaine au Moyen-âge, Actes du colloque International, Marche en Famenne 2001, a cura di M. Bonne, E. Lecuppre-Desjardin, J.P. Sosson, Antwerpen-Apeldoorn 2002, pp. 135-159.
47. Dagli acquisti ai battiloro effettuati dal monastero del Paradiso in Pian di Ripoli alla metà del XV secolo, per esempio, si evince che furono le stesse monache a filare l’oro col quale avrebbero realizzato i lavori ad ago. Cfr. M.C. Improta, A. Padoa Rizzo, Paolo Schiavo fornitore di disegni per ricami, in «Rivista d’Arte», XLI, 5, 1989, pp. 50-51. I ricamatori acquistavano talvolta dai monasteri anche passamanerie, come testimoniano i pagamenti effettuati al convento delle Murate del 1472 per frange in seta da utilizzare per un parato del Cardinale del Portogallo. M. Atanasio, Il cappuccio di piviale al Museo Poldi Pezzoli e altri frammenti della Cappella del Cardinale del Portogallo, in «Commentari», 14, 1963, p. 233.
49. Al Convento delle Murate sono da ricondurre due paliotti in velluto ricamato conservati nel Museo d’Arte Sacra di San Gimignano. C. Borgioli, Il paliotto ricamato di Santa Caterina d’Alessandria a San Gimignano: considerazioni sul ricamo a Firenze alla fine del XV secolo e sulla coeva iconografia della colomba nei paliotti d’altare, in «Polittico», IV, 2005 (2006), pp. 17-32, cui si rimanda per la bibliografia relativa ai due manufatti.
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