lunedì 26 marzo 2012

Issey Miyake e la Rivoluzione della Moda






Lo stilista Issey Miyake impersona perfettamente l’essenza polivalente del suo Paese di nascita, il Giappone, forgiando il suo approcio al design su un equilibrio fatto di nozioni all’apparenza troppo stridenti tra loro ma che risultano invece nella perfezione propria dell’ecletticità: tradizione e innovazione, lavorazione artigianale e tecnologia, Oriente ed Occidente sono tutte ritrovabili nel suo modo di fare Moda, così come sono presenze costanti e bilanciate della Cool Culture giapponese che tutti noi conosciamo, quella che porta in sé da un lato una sensibilità innata e il mistero antico dei fiori di loto, della tradizione delle geishe e della lavorazione di sete delicate e dall’altro la sete di tecnologia nella corsa verso un futurismo perfetto e scintillante. Basti pensare che egli stesso si riferisce alle sue creazioni come opere d’arte, non pezzi di abbigliamento.


Nato a Hiroshima nel 1938, Issey Miyake ha istituito il Miyake Design Studio nel 1970, iniziando a sfilare con le sue collezioni a Parigi nel 1973. Uno dei pochi pilastri della moda del XX secolo che si sono mostrati inclini a forgiare un successore a cui passare la corona, Miyake nel 1993 affida la collezione Uomo a Naoki Takizawa, membro del Myiake Design Studio, per dedicarsi interamente alla sua linea Pleats Please. Primissimo esempio di Clothing Design, Pleat Please è il risultato ultimo di quella che può essere chiamata la Fashion Revolution iniziata da Miyake alla fine degli anni ’80: il rivolgimento della sartoria e l’abbandono della promozione delle forme del corpo in favore di una ricerca dei volumi che inneggia all’androginia, rovesciando la convenzionale nozione di genere sessuale della moda.



Non più abiti aderenti che fasciano il corpo lasciandone intravedere le curve quindi, ma indumenti che somigliano più ad origami di carta pieghettata e che per la loro rigidità creano uno spazio tra la stoffa ed il corpo stesso. Chi li indossa acquisisce così libertà di movimento e flessibilità, nonché non si deve più preoccupare di eventuali abbondanti curve della sua silhoutte. Tale stoffa è il risultato di un processo di produzione totalmete innovativo per cui gli indumenti di 100% poliestere sono tagliati e cuciti prima e in una taglia che è due-tre volte più grande del prodotto finale. Tali indumenti sono riposti su strati di carta inseriti in una pressa dove la stoffa viene forgiata e pieghettata a caldo, mantenendo in sé una “memoria” permanente e dando come risultato dei vestiti pronti per essere indossati in cui le pieghe, orizziontali o verticali, sono appuntite come se fossero state tagliate con un coltello, ma che allo stesso tempo sono flessibili, leggeri e facili da curare.

Miyake ha inventato un nuovo modo di fare Pret-A-Porter, così come una serie di nuovi termini da inserire nel vocabolario della moda: carta metallica pressata a caldo, plissè, sintetici attorcigliati, jersey rinforzato, carta imbevuta d’olio... Di primo acchito ricordano forse più un ambiente industriale che un delicato atelier, ma danno sicuramente l’idea di come il Miyake Design Studio abbia contribuito con la sua sperimentazione all’esplorazione di vie mai visitate prima nella produzione di abbigliamento e di lavorazione dei tessuti, rendendo Issey Miyake un pioniere di quella rivoluzione che poi investirà la moda giapponese e che darà come frutto gli altri grandi, grandissimi artisti…. ops, stilisti quali Yohi Yamamoto, Rei Kawakubo  (Comme Des Garcons), Junya Watanabe e altri genii della Japanese Coolture i quali opporranno le loro opere d’arte alla moda Occidentale di quegli anni così femminile, sexy e ineggiante al colore e al corpo e che ancora si distaccava dalla tecnologia come un mondo totalmente a parte.

Ancora, nel 1999 Miyake si dedica ad un altro progetto altamente tecnologico chiamato A- POC ( A Piece Of Cloth, un pezzo di stoffa) e affida anche la sua linea Donna a Takizawa. Questa nuova tecnica di tessitura rende possibile produrre vestiti finiti senza l’utilizzo di cuciture e, ancora, richede la commistione di tradizionale tessitura e l’impiego di modernissimi sistemi computerizzati.
Nel processo A-POC, il filo entra nel telaio e viene cucito da una macchina programmata dal computer. Un tubo continuo di tessuto emerge quindi dando forma ad un indumento che è già visibile ma incorporato nella stoffa e che richiede solo di essere tagliato dalla sua forma, dando inoltre la possibilità di essere modificato a piacimento di chi lo compra, tagliando le maniche, scegliendo la lunghezza della gonna o la profondità dello scollo.
Miyake infatti crede che la personalizzazione dei suoi capi rende possibile partecipare alla produzione e al design dei capi stessi. Applicherà lo stesso processo di produzione anche ad accessori quali borse, sciarpe e calzini.

Genio allo stato puro che va oltre i confini della moda e che non si può fare a meno di adulare ed acclamare. Durante tutte queste sperimentazioni di Miyake, il suo allievo Takizawa si destreggia nella guida del marchio, dovendosi sia abituare all’innovatività ed eccentricità del suo maestro, ma anche aprendone un nuovo capitolo, come ad esempio attraverso l’uso di colori stridenti e marcando così la sua identità. Takizawa continua però nella tradizione di collaborazione con varii artisti, facendo di ogni passerrella una vera e propria performance. Invita quindi musicisti di fama internazionale quali Pierre Bastien, i Silent Poets o il DJ Tsuyoshi. Nell’Autunno/Inverno 2004, per la collezione femminile Journey to the Moon, invita Aya Takano, disegnatore di fumetti di fantascienza, a creare stampe Manga- meets – NASA.





Facendo un salto a questi anni, tenendo inoltre a mente il passaggio della direzione artistica del marchio al designer Dai Fujiwara dal 2006, possiamo ritrovare nell’ultima collezione Donna A/I 2011 la stessa delicatezza Oh-So-Japanese-Chic! degli origami usati ancora una volta come parte portante della collezione in questo incessante e strettissimo rapporto tra tradizione e innovazione. Questa passerella è stata quasi commuovente nella sua semplicità: al pianoforte musica da salotto, sulla passerella assistenti vestiti di nero piegano in pochi secondi e con movimenti esperti della carta in forme geometriche e spigolose che risultano poi essere pezzi di vestiario! Come per magia abbiamo un collo, una gonna, un vestito, un cappotto…


Prendono vita sui corpi delle modelle che escono indossando gli stessi capi, seguite poi da latre che indossano invece la versione in tessuto. La vista viene ingannata attraverso illusioni ottiche sullo stile di M.C.Escher, a cui Fujiwara si è ispirato per questa collezione, ma può comunque perdonare questo piccolo inganno, forse anche dovuto all’ubriachezza derivante dai rossi vividi o dai blu e verdi metallici che escono poi in passerella all’incalzare della musica del pianoforte.
Ritmo, colore, tessuti fluttuanti opposti a forme geometriche spigolose presenti anche nelle stampe…La mente è totalmente inebriata e si perde  in un sogno pieno di geishe, di gru di carta e di navicelle spaziali.


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